Traccio con del rossetto fucsia i flebili contorni azzurri delle mie vene.
Dove il sangue batte di più, tracce d’un passaggio meravigliato, trafugato in notti senza stelle.
Rido dell’isteria. Della nobiltà dei persi e dei vinti.
Corro sfrecciando nel vento del Sahara, che mi preme sugli occhi isole di cui non conosco né comprendo il nome. La paura è come una radice vecchia: la si deve estirpare, ma ci si è abituati alle sue spire che respirano nella fertile terra che è la nostra anima, troppo ricca per poterla denominare povera - alla fine.
Prendo la notte. La giro su nuvole bianche, premendola contro i suoi pigolii addormentati. La spoglio e il rossetto fucsia colora le sue vertebre, le sue scapole - due ali spezzate sotto l’alba.
Mai farfalla, ma carnefice; mai bocciolo, ora, ma completa fioritura - lente le palpebre s’alzano sotto un comune tremore che mi fa vibrare perfino le ciglia, le lacrime mai piante, l’odio che rigetto con spasmi via da me.
Travestirsi da pecorella, quando si è un lupo.
Affondare - colore fucsia ovunque, sotto lo sguardo, tra le dita, le cosce e schiena, brontolii mai sazi di sonniferi.
“Vieni
ti farò sentire com’è cadere
in fondo all’abisso.”
Prenderò la notte e la spoglierò della sua immortalità. La amerò come si ama un mortale: con dolce disperazione.
Per il cuore che nessuno ha; per quello troppo usato, pompare sangue emozioni linguaggi speranze; per quello che ho avuto una volta, tanto tempo fa.
Isolana del sacro niente, io vagabondo come un’infante senza reggermi sulle gambe.
Correte. Andate oltre. Graffiate il vento quando lui vi sfiora i capelli.
Amate quello che adorate.
Piangete quello che non potete piangere.
Venerate quello che vi dicono di non sfiorare neppure.
... i fiori più belli nascono a Firenze...
Nessun commento:
Posta un commento