La luna mi parla,
infilandosi nella mia manica, correndo su strati di pelle
bruciata da un rogo di trepide
smanie d’echi rivolti
al buio candido di me.
C’é un mondo che è privo delle sostanze con cui mi vesto quotidianamente - esso trapela sotto una luce pallida,
fumo che scivola verso l’alto, l’irraggiungibile,
e sfocia in consapevolezze armate di niente - poiché nulla potrebbe scalfirle.
La luna dorme appollaiata sui respiri che
riescono a divincolarsi dalla mia gola,
e quando si risveglierà - quando sarà regina pronta a rivendicare il cielo -
brillerà; ed io sarò a casa.
Ritornerò a casa...
Sotto il buio delle palpebre
osservo il fuoco diramarsi fino alle nuvole, infuocandole,
prolungamento di una voce che cerca continuamente risposte
a domande che ne sono sprovviste, prive.
Cerco la libertà. La capacità di fondermi con l’amore. Le parole che devo ancora scrivere.
Vorrei non chiedere, ma saper accettare.
Il coronamento della tenerezza, della realtà - mia e vostra -, della fiducia.
Quieto, il sole si rigira tra le mie braccia; che possa esplodere ricoprendo il mondo di fatalità, di solstizi che hanno il sapore antico delle ritualità sacre - l’inverno germoglia il suo fiore, in me, e rimembro soltanto petali neri - fuoco, benzina, il silenzio -rabbrividisco, invecchio, mi apro ad un universo che è chiuso, già solerte, sempre indenne.
Ricucio la mia manica, la luna continua a brillare, ed io...
io corro verso l’odore del vento.
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