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sabato 17 settembre 2011

la notte

15 settembre 2011, 22:36

Conall corre, corre e non si ferma; si guarda un attimo indietro, le labbra socchiuse; il bianco accecante dei suoi denti, le spalle contratte. salvatela, pensa, fin quando non posso giungere anch’io da lei. le spine di grano gli pungono le gambe ed i piedi nudi e senza più voltarsi si dilegua verso un sole splendente, caldo, lussurioso della sua pelle sudata.

“salvatela.
salvate mia madre.”

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rimango ritta ed immobile davanti ai confini del mondo, gelata, qualsivoglia sensazione sgradevole attaccata al cuore.
l’istinto di sopravvivenza preme feroce sulla mia gola per permettermi di urlare, urlare fino ad impazzire, urlare e sentire le orecchie fischiare e poi - un istante dopo, cadere dal cielo, miseramente, le braccia smaniose d’afferrare una minuscola fetta di luna misericordiosa, corona falciata splendente ed ipnotizzante che calma le vertigini a cui mi appiglio per scalciare via da me l’insofferenza.
sulle mie mani l’odore... gocce di pioggia, erba fresca di rugiada. e attorno a me si spalanca l’immenso adeguarsi a qualcosa che non accetto, ma ricaccio indietro assieme alle lacrime, come se solo il poter allontanare tutto questo fosse necessario alla mia causa.
come se potesse bastare soffiarlo via per annientarlo, distruggerlo ferocemente.

come pelle che diventa rossa.

la poesia logora le cattiverie dell’universo, sovrastandole con leggerezza, peso piuma - annichilita, vestita di stracci, la Regina si trascina nelle terre oltre la mente per accerchiare i sentimenti, la verità e farli reali.

fittizio è tutto ciò che non vi è in lei.
privo di qualsiasi fondamenta, marcio, deturpato dall’essere umano; perfino l’amore evapora vergognandosi lontano, dove il sole non può più scaldarlo con raggi flessuosi e sereni, sadici.

il tempo si annulla quando lo prendo tra le mani; osservandolo sgretolarsi, ne rido, istericamente, la gioia che ne ricavo - per potermi scavare perennemente dentro, orgogliosamente, e ritrovarvi la scrittura in ogni dove, sparsa nell’anima, nel corpo, nelle ossa invecchiate.

Dio non ha suoni per me - vaga alla ricerca spensierata di sussurri che troverà nella disperazione.
socchiudo per qualche secondo gli occhi e le vibrazioni del mio cuore perdono velocità.
vedo del glicine venire scosso dolcemente dal vento, caduto, mollemente appoggiato sul terreno grigio.
eppure il suo profumo risveglia in me selvagge utopie, mere realtà che vado cercando ogni giorno - la mia intera vita, la vita concreta che soffia stelle durante il plenilunio.

il soffitto bianco mi fa vedere il buio.
ingannatore, lo vedo rispecchiarsi sul mio viso - e sembra che tutto ciò di cui sono rivestita non sia che luce sfibrante.


ma intanto osservo la marcia spietata di gatti colorati avanzare.

Conall si ferma, il petto ansimante. tende la mano davanti a sé e chissà perché riesco a percepire sulla mia guancia una carezza delicata, ed il mio corpo rabbrividisce.

non è magia - è amore.

la follia non ha un tale profumo e libertà; ti incenerisce da dentro e non puoi ascoltare che il sordo lamento di chi tenta di fuggire da sé stessi.

io mi ci butto, in me stessa - consciamente, a volte no, ma con una tale forza da potermi definire eterna senza malizia alcuna.

so che vivrò ancora per scrivere.
potrei scommetterci qualsiasi cosa.
qualsiasi, senza averne mai abbastanza, senza essere mai sazia dalle sensazioni che mi vengono donate.

una mascella contratta, nervi tesi; fuoco che brucia le case, la natura; fughe disperate.
acqua che riempie i polmoni, il colore giallo.

una goccia d’essenza, giù nella gola; ed il sapore che mi rimane impigliato nelle viscere ha il suono scrosciante della libertà che anelo così disperatamente.
la rivelazione di una vita ha con sé il sapore della misericordia, dell’inumanità.
tutto andrà al proprio posto.

la notte sfascia cataclismi delicati che lascia piovere nella mia mente, e guardandoli io mi ritiro, confusamente, amando con tutta me stessa, tre gradini all’imbrunire del giorno, il crepuscolo del giorno.

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